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COSA RESTA DEL FEMMINISMO? Il diritto di essere oggetti sessuali?

 


«Se bastasse esibire il proprio corpo senza veli per “scandalizzare” il popolo dei benpensanti, la questione femminista sarebbe stata risolta da Lory del Santo al Drive In negli anni Ottanta»                                                                                                                                                                                                                                                              

Una premessa:

Nessuno vi impedirà di postare foto in perizoma, se vi fa stare bene.
Ma il femminismo è un’altra cosa.

Michela Murgia

Il 2023 è stato un anno molto complicato per il femminismo italiano. Il 10 agosto è morta una delle più fini intellettuali italiane degli ultimi decenni: Michela Murgia. È morta giovane, Michela, e Dio sa se avremmo avuto bisogno di lei qualche mese dopo, nel fervente (ahimè breve) dibattito sul patriarcato a seguito dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Si è tanto parlato di educazione sentimentale e della necessità di introdurre nelle scuole il tema dell’affettività. Non amo le soluzioni semplici ai problemi complessi, ma in questo caso davvero basterebbe poco per iniziare a mettere in pratica queste belle parole. L’impianto teorico e i libri di testo ci sono già, li ha scritti, magistralmente, Michela Murgia. Basterebbe decidere di inserirli nei programmi scolastici. Purtroppo tutto questo resterà un sogno, l’ennesima occasione mancata: “Murgia è troppo divisiva” diranno i Salvini e i Pillon di turno e allora non se ne farà niente.

Per capire cosa sia stata e cosa abbia significato Michela Murgia per il nostro paese rimando a un bellissimo articolo scritto da Francesco Costa, di cui riporto un estratto:

Michela Murgia è stata un’intellettuale, nel senso più puro del termine: una dei pochi, peraltro, che avesse avuto e prodotto il nostro Paese negli ultimi vent’anni. Diceva cose che nessuno aveva detto prima e altre che avevamo già sentito ma che lei sapeva dire meglio. [...] Che forse non siamo più in grado di riconoscere un intellettuale, ma quando ce ne troviamo una davanti ce ne accorgiamo ancora, per quanto inconsapevolmente: e che questo – sto sognando, lo so – ci porti da qui in poi a sottrarre gli intellettuali al gioco delle squadre e delle fazioni, delle shitstorm e del «da che parte stai», e cercare in loro non qualcuno che la pensi come noi ma qualcuno che faccia pensare noi.

Un universo sfaccettato

Murgia non è stata l’unica a esporsi sul tema del femminismo, negli ultimi anni, ma nessuna/o è stata/o in grado di produrre un sistema teorico ampio e coerente come il suo. Quando è uscito God save the Queer. Catechismo femminista mi sono stupita di quanto in alto avesse spostato l’asticella e della sicurezza con la quale fosse riuscita a conciliare due sistemi apparentemente opposti: femminismo e fede cristiana. Non permetterò mai a nessuno di contestare il fatto che God save the Queer sia un saggio teologico a tutti gli effetti, mirabilmente calato in un contesto contemporaneo. Quando una filosofia è forte, è in grado di reggere anche in contesti problematici. La filosofia di Murgia, indubbiamente, regge. Questo per dire che il femminismo è una cornice teorica ampia, un universo sfaccettato, in cui si può agire in diversi ambiti; battaglie più “concrete” a livello economico: la parità salariale, la richiesta di allungare il congedo di paternità e di aumentare i posti negli asili nido pubblici. Battaglie più “ideologiche” come quella per rendere il linguaggio più inclusivo e aiutare a plasmare la realtà a partire dalle parole. Infine, le battaglie per ottenere una maggiore sicurezza dalla violenza maschile. Da decenni il numero totale di omicidi in Italia è in costante calo, mentre il numero di femminicidi resta stabile. La statistica è positiva solo a patto che tu sia un uomo. Questo per dire che si può operare per la causa femminista in ambiti diversi, con retoriche diverse e con scopi diversi. Ciò che dovrebbe accomunare le varie forme di femminismo è la capacità di eliminare gli ostacoli che impediscono alle donne di avere le stesse opportunità degli uomini. Murgia scrive:

Esiste un modo femminista di esercitare la propria forza e uno che femminista non lo è per niente [...] Ogni volta che incontro una donna potente, quello che mi chiedo è: che modello di potere sta esercitando? Se usa la sua libertà per ridurre o lasciare minima quella altrui, questo non è femminista.

Questo discorso era riferito alla leadership di Giorgia Meloni. Temo che valga anche per Chiara Ferragni, quando posta sul suo account Instagram foto ammiccanti, rivendicando il diritto a essere sexy, oltre che una mamma, o quando sul palco dell'Ariston a Sanremo decide di indossare un abito che simula il suo corpo nudo con un ricamo trompe l'oeil. Queste le parole usate dall'influencer per descrivere l'abito:

Riportare l’attenzione sui diritti delle donne, del loro corpo e su come il disporre del corpo femminile dalle stesse sia, purtroppo, ancora considerato discusso e discutibile. Questo è l’obiettivo dietro questo look. L’idea di un abito che simulasse il corpo nudo di Chiara ci è arrivata immediatamente prendendo ispirazione da una creazione di Mariagrazia Chiuri per Dior della primavera/estate 2018. Realizzato negli atelier alta moda Dior il vestito in tulle color carne riproduce con un ricamo trompe l'oeil il corpo di Chiara Ferragni al naturale e liberato da quella vergogna che hanno sempre imposto a tutte, a partire da Eva, la prima donna della storia indotta a provare vergogna.
Questa illusione di nudità vuole ricordare a tutte il diritto e l’uguaglianza di genere che hanno nel mostrare, disporre di se stesse senza doversi sentire giudicate o colpevoli. Questa illusione di nudità vuole ricordare che chiunque decida di mostrarsi, o sentirsi sexy non autorizza nessuno a giustificare le violenze degli uomini o ad attenuarne le colpe.
Questo è il corpo di una donna, quello di Chiara Ferragni che vorrebbe dare voce a tutte le donne del mondo a cui vengono imposti divieti e abusi, a tutte coloro a cui viene detto che il loro corpo genera vergogna, che è solo un oggetto del desiderio o che istiga al peccato.
Questo è il corpo di tutte. Chi è senza peccato scagli la prima pietra!

Le foto osé danno fastidio al patriarcato?

La risposta a questa domanda è: NO. Al patriarcato, al massimo, dà fastidio la foto osè della propria donna. Ma quelle delle altre assolutamente no, come dimostra la presenza costante di soubrette seminude nei programmi sportivi. Quindi, dal momento che Fedez non aveva nulla in contrario al fatto che la propria compagna esibisse la propria nudità, quella di Chiara non è stata una battaglia femminista. Non è proprio una battaglia. Se bastasse esibire il proprio corpo senza veli per “scandalizzare” il popolo dei benpensanti, la questione femminista sarebbe stata risolta da Lory del Santo al Drive In negli anni Ottanta. Il mondo dello spettacolo è pieno di donne bellissime senza veli. Non c’è nessun diritto da rivendicare, nessuna restrizione.

Il diritto che le donne non hanno (e che costituisce un ostacolo alla parità di genere) è quello di non aver bisogno di mostrare il proprio corpo. Ed è un limite invalidante non per chi ha un corpo come quello di Ferragni. È un limite per quelle donne che belle non sono e che per questo sono escluse. Influencer, presentatrici ma anche bariste, commesse (persino le donne in politica!) devono aggiungere alle competenze richieste pure la bella presenza. Giorgia Meloni per arrivare a questi livelli di popolarità ha fatto ricorso alla chirurgia estetica, per sua ammissione su consiglio di qualcuno che riteneva normale definire Angela Merkel una “culona in*hiavabile”. Per gli uomini essere brutti non è un problema, infatti a pronunciare quella frase non è stato Brad Pitt, ma Silvio Berlusconi. È questa l’enorme battaglia che devono combattere le femministe. Non il diritto di essere oggetti sessuali. Quel “diritto” già c’è. Bensì il diritto di essere rispettate (e, aggiungo io, di sentirsi bene con se stesse) indipendentemente dal proprio aspetto, esattamente come fanno gli uomini. Li avete visti i presentatori, i baristi, gli uomini in politica? Per loro vale quello che fanno, indipendentemente dal peso, dalle rughe e dai capelli bianchi. Ad Angela Merkel non è bastato essere la politica europea più influente degli ultimi decenni. Però almeno ci ha provato a non mettere il proprio corpo davanti a tutto. Come ci hanno provato Michela Murgia, Rosy Bindi, Emma Bonino, Elly Schlein, Hillary Clinton, Michelle Obama.

Alcune donne non vedono dove sia il problema. Sono fiere dei risultati ottenuti dopo essersi prese cura del proprio corpo andando in palestra, dal parrucchiere e sono gratificate dal mostrarli. Occorre ricordare che altre donne, meno fortunate, pur con la stessa “cura” non ottengono gli stessi risultati. Non sto dicendo che dovremmo metterci il burqa. Sto dicendo che quello che sembra un diritto è in realtà un privilegio. Oltretutto nessuna in un’isola deserta sentirebbe il bisogno della skin care o del filler alle labbra. Quindi, non si tratta di “prendersi cura di sé per stare bene”, ma per aderire a degli standard estetici. Siamo animali sociali, è normale. Il punto è che gli standard estetici per gli uomini non sono discriminanti mentre per le donne sì.

Bellezza, solo bellezza

Noi millennial viviamo nell’epoca della body positivity. Ripropongo alcune frasi di un illuminante articolo scritto da Laetitia Leunkeu per Vice Italy:

Spingere le persone a sentirsi belle a qualunque costo non cancella il fatto che debbano far fronte a una realtà che ricorda loro ogni giorno che non lo sono. Non aiuta—o meglio, potrà aiutarne qualcuna—ma per molte si configura come un’ulteriore imposizione: ti abbiamo dato la formula per sentirti meglio, se fallisci la colpa è tua. Il problema è che alle donne viene ancora trasmesso il messaggio che senza il requisito di bellezza valgono meno.

Il messaggio su cui le femministe puntavano in passato e su cui dovremmo tornare a puntare è appunto questo: non dobbiamo parlare diversamente della bellezza, dobbiamo parlarne meno. Ed ecco che il post di Chiara Ferragni appare assolutamente inconsistente e le trasformazioni in chiave sexy della cantante di turno, da Adele a Noemi, appaiono per quello che sono, cioè delle sconfitte del femminismo.

Concludo con le parole del poeta e critico letterario Georgij Adamovič sulla celebre poetessa russa Anna Achmatova:

Anna Andreevna aveva un aspetto stupefacente. Adesso, nelle memorie che scrivono, dicono che fosse bellissima: no, non era bellissima. Era più che bellissima, era meglio, che bellissima. Non ho mai visto una donna il cui viso e l’intera figura spiccassero ovunque, tra non importa che donne bellissime, per l’espressività, la spiritualità, qualcosa che attirava immediatamente l’attenzione.

Era meglio, che bellissima.








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