«Gli slavofili (di cui in un certo senso Vladimir Putin è l’ultimo interprete) sostengono che la Russia non abbia radici occidentali, ma che ne abbia altre, più profonde, che Pietro il Grande ha cercato di isterilire»
Intervengo solo ora in merito al complicato rapporto tra Russia ed Europa, a più di due anni dall’invasione russa dell’Ucraina. Ho atteso a lungo perché ho preferito lasciar sfumare il fragoroso vociare di tutti coloro che, a vario titolo, si affrettavano a sfoderare pubblicamente la verità che tenevano in tasca. E anche perché, in un certo senso, questa guerra ha messo in discussione un mio progetto di vita (la scelta di studiare la lingua e la cultura russa). Non tanto la scelta in sé (lo rifarei) quanto la sua lungimiranza.
Mi guardo bene dal voler trovare torti e ragioni, in questa guerra (anche se, per chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale, è evidente chi sia la vittima, tra le due parti). Quello che mi limiterò a fare è fornire un po’ di contesto per capire come mai i russi sono così diffidenti nei confronti dell’Europa, perché non si ribellano a Putin, insomma… perché sono così diversi da noi.
Mosca, 1815
Questa storia parte da lontano, da quando, all’inizio del Settecento, Pietro il Grande edifica una nuova capitale affacciata sull’Europa (San Pietroburgo) e impone alla corte russa di adottare costumi occidentali in modo abbastanza brutale.
Per evitare inutili digressioni, tuttavia, farei un salto in avanti e passerei direttamente all’epoca napoleonica, quando si innesca un processo culturale che porterà la Russia a interrogarsi in modo più consapevole sui suoi rapporti con l’Europa. Ne approfitto per sfatare qualche mito: Napoleone non ha invaso la Russia per eccesso di presunzione e non è vero che a sconfiggerlo è stato il "Generale Inverno". Napoleone aveva chiesto a tutti i paesi continentali di mettere l’Inghilterra sotto embargo, intimando loro di non fornire approvvigionamenti di grano, legname e altre materie prime alle navi inglesi. Nonostante anche la Russia, dopo la sconfitta di Austerlitz, avesse aderito al Blocco Continentale, in realtà aveva continuato a rifornire gli inglesi di contrabbando. Napoleone se ne accorge e non ha alternative: deve bloccare i rifornimenti alla flotta britannica. Mette in atto quindi una strategia abbondantemente collaudata: non attacca la capitale politica, bensì il principale snodo economico del paese, dove la borghesia avrebbe avuto tutto l’interesse a sostenerlo. In Italia, ad esempio, aveva preso Milano e il resto del nord era venuto da sé. Non si dirige quindi a Pietroburgo (oltretutto troppo vicina al mare, dove gli inglesi lo avrebbero fronteggiato sul campo a loro più congeniale), bensì a Mosca. Ma la Russia non è come il resto d’Europa: è troppo arretrata! Mosca non è un centro economico, è solo la residenza invernale della nobiltà russa. Napoleone si accorge che Mosca è un guscio vuoto e che in Russia non esiste alcuna borghesia in grado di sostenerlo dall’interno. I russi si riorganizzano, rimontano e lo inseguono fino a Parigi.
Pietroburgo, 1825
Il giudizio storico che viene dato in Europa su Napoleone è completamente diverso da quello che viene dato in Russia, dove Napoleone è il nemico per eccellenza, un tiranno. Nonostante questo, i giovani ufficiali russi che attraversano l’Europa ed entrano a Parigi ne restano fortemente colpiti. Dopo la Rivoluzione Francese in Europa le cose stavano iniziando a cambiare: la servitù della gleba era stata abolita, erano state concesse carte costituzionali e libertà individuali. In Russia invece non c’era niente di tutto ciò. Questa generazione di giovani ufficiali russi, carichi di ideali libertari, decide che è giunto il momento di giocarsi il tutto per tutto. Nel dicembre del 1825, approfittando di un momento di incertezza dopo la morte di Alessandro I, assaltano il Palazzo d’Inverno e si rifiutano di giurare fedeltà al nuovo zar, se questi non avesse concesso una costituzione. Ci sono scontri armati ma la Rivolta Decabrista (cioè “di dicembre”) fallisce. I giovani ufficiali coinvolti vengono esiliati e privati di tutti i loro beni. Affrontano l’esilio con grande dignità: molti in Siberia si dedicano ad attività filantropiche, lavorando fianco a fianco con i contadini analfabeti e aprendo delle scuole per i loro figli.
Il dibattito tra Slavofili e Occidentalisti
Il fallimento della Rivolta Decabrista provoca grande frustrazione nell'élite russa: perché nel resto d’Europa la rivoluzione borghese ha avuto l’appoggio delle masse e in Russia no? Se i russi non sono come gli europei, cosa sono?
Una decina di anni dopo, nel 1836, la festa per il decennale dall’incoronazione di Nicola I è guastata da una lettera pubblicata dal filosofo Pëtr Čaadaev. Conservatore, ammiratore del Medioevo occidentale e dello spirito cavalleresco, Čaadaev afferma che la Russia non fa propriamente parte né dell'Occidente né dell'Oriente e vaga senza una meta e senza aver colto le possibilità offerte da Pietro il Grande. Viene dichiarato pazzo, ma la domanda “siamo come gli europei oppure no?” inizia a circolare.
L’intellighenzia si divide in due gruppi: gli occidentalisti e gli slavofili.
Gli occidentalisti sviluppano le idee di Čaadaev. Pensano che si debba creare un ceto medio, coinvolgendo il popolo verso ideali democratici europei.
Gli slavofili (di cui in un certo senso Vladimir Putin è l’ultimo interprete) sostengono che la Russia non abbia radici occidentali, ma che ne abbia altre, più profonde, che Pietro il Grande ha cercato di isterilire. Gli slavofili cercano quindi di identificare e riattivare gli autentici elementi identitari russi: l’ortodossia, l’autarchia (eredità del passato tataro-mongolo) e lo spirito popolare. Il popolo russo, dicono, è “collettivista per natura” perché per secoli i contadini hanno coltivato insieme la terra, senza possederla. L’Unione Sovietica ha continuato ad alimentare questa idea grandiosa sull’eccezionalità della Russia, primo paese al mondo a battere la via del comunismo, proprio in virtù delle sue specificità culturali.
Il dibattito continua ancora oggi. Gli occidentalisti di oggi (principalmente, le classi colte di Mosca e Pietroburgo) dicono che la Russia dovrebbe smetterla di ammorbare il mondo con il suo eccezionalismo e con le sue manie di persecuzione e diventare finalmente un paese… normale.
Un paese “normale”
Cosa vuol dire essere un paese normale? Per un europeo (e soprattutto per un italiano), essere un paese normale significa vivere in una dimensione post storica, come teorizzato da Fukuyama nel famoso saggio “La fine della storia”; pensare cioè di essere arrivati all’apice del progresso umano e aver capito quanto la guerra sia una barbarie e quanto essa sia inutilmente costosa in termini di vite umane e denaro.
Nei paesi post storici le necessità economiche sono preminenti rispetto alle necessità strategico-imperiali. Non è un caso che in Italia ci sia un numeroso fronte che ha creduto che congelare i beni degli oligarchi sarebbe stato sufficiente a fermare la guerra e ancora oggi ritiene che si debba trattare con la Russia “per ristabilire le relazioni commerciali”, viste come obiettivo supremo.
L’errore che commettiamo, e che ci impedisce di capire le ragioni e le azioni di paesi come la Russia (o l’Iran) consiste nell’immaginare la storia come una linea retta, di cui l’Occidente costituisce il punto di arrivo, la versione “perfezionata”. Questa lente ci fa vedere il resto del mondo come arretrato, da una parte, e desideroso di diventare un giorno “come noi", dall'altra. Sembrerà assurdo, ma il resto del mondo non vuole diventare “come noi”. E non solo perché sotto la superficie ribollono desideri nazionalistici, ma anche perché l’immagine che hanno lasciato dietro di sé europei e statunitensi (un’immagine coloniale e predatrice) non è propriamente idilliaca.
Per quanto ci sembri assurdo, ci sono contesti in cui il “prestigio della nazione” è più importante del benessere economico (anche perché un benessere come il nostro, nel resto del mondo, non l’hanno mai provato). Perché mai l’Iran continua con il suo programma nucleare, a costo di subire pesanti sanzioni che impoveriscono il paese? Com’è possibile che la rivoluzione iraniana del 1979 non abbia portato il paese a diventare “democratico” (come noi) ma una repubblica islamica? Come mai le sanzioni alla Russia non stanno funzionando?
Concludendo, non so rispondere alla domanda sul "perché i russi facciano così”. Quello che so è che di sicuro non troveremo una risposta a questa domanda applicando le categorie ideologiche occidentali. E anche che (questo mi sembra importante) per risolvere la situazione non basta sventolare la bandiera del benessere economico o aspettare pazientemente che anche loro, popoli arretrati, trovino il coraggio di risvegliarsi e diventare come noi. Nel mondo l’Occidente costituisce una minoranza privilegiata che ormai non può più permettersi di ignorare la storia e le ragioni degli altri popoli, per quanto assurde ci possano sembrare. E non può neanche più illudersi che “la storia sia finita”, perché è proprio là che ci aspetta, minacciosa, alle porte dell’Europa.

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