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NO, NON ABBIAMO BISOGNO DI “LEGGEREZZA” E di altre banalità simili

«Ci sono delle frasi che risvegliano in me insospettabili istinti omicidi. Perché vengono pronunciate con la solennità di chi è convinto di svelare chissà quale profonda verità… e invece ripete a pappagallo frasette insulse e anacronistiche. Ne propongo tre»                                                                                                                                                                   

C’è bisogno di leggerezza

Forse c’è stato un momento storico in cui abbiamo avuto bisogno di leggerezza. Magari quando le convenzioni sociali erano più forti e i rapporti interpersonali più formali; quando eravamo tutti seri e ingessati e c’era bisogno di allentare la presa. Forse questo bisogno c'è ancora, in qualche disgraziata parte del mondo.

Ma nella stragrande maggioranza dei casi, quando sentiamo questa frase, l’obiettivo di chi la pronuncia è di distogliere l’attenzione da un discorso serio che non sa gestire, per ignoranza o per scarsa volontà. Non c'è affatto bisogno di sdrammatizzare. Sarebbe il caso, invece, di ponderare bene la situazione.

Ponderare, dal latino pondus -dĕris «peso»

Più che di leggerezza, abbiamo bisogno di dare peso alle cose (possibilmente, a quelle importanti). Continuando a danzare sul filo della leggerezza rischiamo di fare la fine dell’orchestrina del Titanic, che sull’orlo del baratro continua imperterrita a suonare il suo insulso motivetto. Colapesce e Dimartino devono essere stati dello stesso avviso quando hanno presentato a Sanremo la canzone Musica Leggerissima: 

Metti un po' di musica leggera
Perché ho voglia di niente
Anzi leggerissima
Parole senza mistero
Allegre, ma non troppo
Metti un po' di musica leggera
Nel silenzio assordante
Per non cadere dentro al buco nero
Che sta ad un passo da noi, da noi



La bellezza salverà il mondo

In una società che procede sempre più per immagini, soprattutto per l’influenza dei social media, la bellezza assume un ruolo centrale e arriva a essere il valore più importante (se di valore si può parlare), erodendo gli spazi precedentemente occupati da cultura, onestà, saggezza.

Nel 2013 il film di Sorrentino “la grande bellezza” ha riassunto in un titolo da Oscar lo spirito del tempo. Dalle pubblicità alla body positivity, tutto ha iniziato a girare attorno alla concetto di bellezza.

La frase "la bellezza salverà il mondo”, di Dostoevskij si inserisce in questo contesto ed è molto in voga negli ambienti artistici, della moda, del teatro e del lifestyle. Si tratta di una citazione colta e per questo motivo fornisce una cornice legittimante e quasi “etica” a un approccio altrimenti altamente superficiale. Il romanzo da cui è tratta, per chi non lo conoscesse, è incentrato sulla figura del principe Myškin, un ragazzo talmente buono, idealista e onesto, da passare per scemo (infatti il libro si intitola l’Idiota). Myškin, figura messianica per eccellenza, è combattuto tra la compassione per una donna “perduta” (Nastasija Filippovna), che vorrebbe salvare e per la quale entrerà in contrasto con il possessivo Rogožin, e l’amore puro e nobile per Aglaja Ivanovna. A un certo punto del romanzo, il principe ospita nella sua dacia Ippolit, un ragazzo storpio, a cui resta poco da vivere. Il ragazzo, rancoroso e sgradevole, insiste per leggere una lettera carica di nichilismo e risentimento. In preda a un delirio tipicamente dostoevskiano (chi ha letto i suoi romanzi saprà di cosa parlo), Ippolit rivolge questa domanda a Myškin:

È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? “Signori", disse rivolgendosi a tutti, "il principe ci assicura che la bellezza salverà il mondo! E io, da parte mia, vi assicuro che se ha idee così strampalate, è perché è innamorato”.

È evidente che, posta nel giusto contesto, la frase perde un po’ della carica comunicativa “da slogan” con cui viene spesso (erroneamente) riportata. Ma, soprattutto, di quale bellezza parla il principe? Mi dispiace dover deludere chi ha abusato di questa frase per decantare le lodi della bellezza “classica”. La bellezza a cui si riferisce Dostoevskij non è una bellezza di tipo “estetico”, ma quella che Sant’Agostino chiama pulchritudo Dei, un attributo divino che riassume grazia, bontà e salvezza. In sostanza, la bellezza che secondo Dostoevskij salverà il mondo… è Cristo. Ricordiamoci che è Dostoevskij, non i Baci Perugina...

Nella vita non bisogna mai accontentarsi

A vent'anni si ha tutta la vita davanti e, soprattutto, si ha l'illusione di "poter diventare qualsiasi cosa". Di fatto non è mai davvero così, ma questa è la percezione che si ha. Anche la società ci spinge in questa direzione: la pubblicità, il senso comune ci ripetono di non accontentarci mai e ci promettono continue rinascite, continui modi di "reinventarci". Bauman la chiama "modernità liquida", dominata dalla convinzione che “il cambiamento è l'unica cosa permanente" (Non risuona forse a tutti in testa la frase “devo cambiare qualcosa nella mia vita”?)

Eppure a un certo punto, inevitabilmente, si arriva a un'età in cui ci si rende conto di non avere più tutte le strade aperte. Intendo che ci si rende conto di averne imboccata una e di aver dato una certa impostazione alla propria vita. E siccome in una società “liquida” le scelte definitive fanno paura, subentra il dubbio di aver sbagliato tutto e il rimpianto per tutto ciò che "si sarebbe potuti essere" e non si è diventati. Si entra in un loop di insoddisfazione. Non è un caso che tante persone verso i trent'anni iniziano a soffrire d'ansia. Io per prima ho attraversato un periodo di grande incertezza. Sospettavo di non essere l'unica a sentirsi così, quindi ho cercato di indagare questo sentimento e di inquadrarlo in una prospettiva più ampia. Avrei fatto in tempo a cambiare, mi sono detta, ma se non avessi compreso la natura della mia insoddisfazione, questa mi avrebbe inseguita ovunque.

Ho capito che quello che faccio non definisce quello che sono. Posso avere di fronte un manager prestigioso, ma ciò non lo rende automaticamente una persona di spessore. Allo stesso modo, io posso esserlo anche senza essere una manager. Non intendo dire che ci si debba adagiare. Però credo che, prima di cambiare le cose “esteriori” (lavoro, compagno, città, stato…) valga la pena guardare “dentro”. Ho cercato di "immaginare me stessa" in una prospettiva diversa rispetto a quella dei 20 anni, lasciando andare l’illusione di avere sempre tutte le strade aperte e di poter ripartire da zero in ogni momento. 

Nella società liquida, trovare una propria solidità è vista come una sconfitta, come una resa. Io invece preferisco vederci un grande segno di maturità.

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