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NOTIZIE DAL CAUCASO: IN GEORGIA LE PROTESTE CONTINUANO... E PARLANO DI NOI


«I georgiani continuano a protestare senza sosta ormai da diverse settimane. La protesta è diventata virale sui social, perché portata avanti da moltissimi giovani che avevano creduto e sognato di poter entrare nell’Unione Europea»                                                                                                                                                                                                  

Mancano ormai pochi giorni alla fine dell'anno con il calendario elettorale più fitto di sempre. Alla fine di quest’anno avranno votato circa due miliardi di persone, il numero più alto mai registrato nella storia.

Il 26 ottobre si sono svolte le elezioni parlamentari anche in Georgia, paese del Caucaso che ha proclamato l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991, ma che ha continuato a subire forti ingerenze da parte della Russia.

Proprio in seguito alla vittoria del partito populista e filorusso Sogno Georgiano, che governa il paese da 12 anni con metodi considerati autoritari, i cittadini georgiani sono scesi in piazza per protestare, chiedendo il riconteggio delle schede e denunciando brogli elettorali.

I manifestanti hanno il sostegno della presidente della Repubblica uscente, Salome Zourabichvili (il cui mandato scadrà il 29 dicembre) e dei partiti di opposizione, che hanno boicottato la seduta di insediamento del nuovo governo.

Le manifestazioni erano iniziate già a maggio, ben prima delle elezioni, a seguito dell’approvazione di alcune leggi poco trasparenti e antidemocratiche, ad esempio quella sugli “agenti stranieri”, ispirata a una normativa russa, che obbliga le ONG che ricevono almeno il 20% dei propri fondi dall’estero a registrarsi come entità che «perseguono gli interessi di una potenza straniera». I cittadini sostengono che questa legge sia una prova della corruzione del partito Sogno Georgiano, l'ennesima interferenza russa nel paese e un potenziale strumento di repressione.

In Occidente le elezioni in Georgia sono state presentate quasi esclusivamente come un grande referendum sull’Europa. Alcune stime suggeriscono che l’80% della popolazione sia favorevole all’ingresso nell’Unione Europea. La Georgia aveva ottenuto lo status di paese candidato a entrare nell’Unione Europea nel dicembre del 2023, ma il 28 novembre 2024 il primo ministro georgiano ha annunciato la sospensione, almeno fino al 2028, dei negoziati per l’adesione.

Anche l’Unione Europea, per parte sua, aveva annunciato che i colloqui con la Georgia erano stati praticamente interrotti a causa dell’adozione della legge sopracitata sugli “agenti stranieri”. Il Parlamento Europeo ha inoltre comunicato di aver adottato una risoluzione con cui condanna le elezioni parlamentari che si sono tenute nel paese il 26 ottobre citando «irregolarità significative» di cui il partito al governo, Sogno georgiano, «è pienamente responsabile». L’Ungheria del sovranista filorusso Viktor Orbán, invece, ha fatto sapere che si opporrà a qualsiasi misura contro Tbilisi.

Proprio in questi giorni è stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica, anche lui espresso dal partito Sogno Georgiano: si tratta dell’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, che quindi prenderà il posto di Salome Zourabichvili, in carica dal 2018. Come detto in precedenza, la presidente uscente aveva dato sostegno istituzionale alle proteste. Ora non si sa bene cosa succederà.

A complicare la situazione c’è la questione delle regioni separatiste.

Faccio un passo indietro perché è necessario dare un po’ di contesto. In Italia facciamo fatica a capire cosa significhi vivere in uno stato multietnico. Viviamo in un paese caratterizzato da grande uniformità, quindi ai nostri occhi i diversi sono necessariamente “stranieri” o “immigrati”. Per quanto ci siano scaramucce tra nord e sud, siamo tutti della stessa etnia, pratichiamo la stessa religione e i nostri dialetti, pur molto diversi, condividono la stessa radice linguistica. L’unica eccezione che mi viene in mente riguarda le comunità rom e questo dovrebbe essere sufficiente a suggerirci quanto esplosiva possa essere la situazione in un paese dove le minoranze etniche arrivano a costituire il 10-20% della popolazione.

In Georgia e nel Caucaso, in generale, c’è la più grande concentrazione di etnie e lingue del mondo. Questo è frutto di una storia millenaria; nel Caucaso gli archeologi hanno trovato tracce di insediamenti umani antichissimi. Crocevia di popoli, in bilico fra due continenti, il Caucaso è una terra carica di storia. La Via della Seta passava (e passa tuttora) da qui. Nel corso della storia questa regione è stata invasa e occupata da tanti popoli diversi: romani, mongoli, russi, persiani. La grande varietà di etnie e religioni presenti in questo territorio racconta una storia di invasioni lunga e stratificata.

I sovietici si sono ripresi dei territori che già erano appartenuti all’impero zarista.
Negli anni Venti del Novecento, dopo aver soffocato nel sangue varie rivolte locali, il potere sovietico si installò fermamente nell’Asia Centrale e nel Caucaso, con la tipica politica del divide et impera. I vari gruppi etnico-religiosi vennero separati. A ogni nazionalità venne assegnato un territorio, avendo cura di disegnare confini in modo volutamente innaturale. La divisione dell’Ossezia in due parti, una in territorio russo e una in Georgia, è un caso emblematico. Finché l’Unione Sovietica è rimasta in piedi, i confini delle varie regioni erano puramente teorici, rimanevano sulla carta: le persone li attraversavano tranquillamente, senza controlli di frontiera. Anche le identità nazionali erano sopite: i cittadini erano tutti anzitutto sovietici.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica la bomba a tempo concepita dai russi con arguzia e in anticipo è esplosa: i confini territoriali sono diventati reali e i conflitti si sono riaccesi. I russi, immaginando che sarebbe arrivato, prima o poi, il momento in cui avrebbero perso potere, hanno scommesso sul fatto di poter sfruttare e manipolare il conflitto razziale presentandosi poi come l’arbitro della situazione e tornare a essere la forza dominante sulla scena politica. È una strategia adottata in quasi tutte le regioni che avevano fatto parte del vecchio impero russo (questo era, di fatto, l’Unione Sovietica).

A questo va aggiunto un altro elemento. Quando in Occidente si discute (spesso faziosamente) sulle affinità e sulle differenze tra nazismo e comunismo, alcuni a sinistra fanno notare che i campi di concentramento nazisti (Lager) avevano come scopo primario l’eliminazione fisica e sistematica delle persone non gradite. Che fossero ebrei, omosessuali, oppositori politici o sinti, le porte dei lager si aprivano non tanto per farli lavorare (“Arbeit macht frei" era l’ennesima macabra beffa) ma per ucciderli. Nei campi di lavoro sovietici (Gulag) invece, le persone morivano sì, di fatica e di stenti, ma non esisteva la stessa fabbrica della morte (camere a gas, forni crematori).

In questa semplificazione, lo ripeto, molto faziosa, si perde di vista un punto importante: per i sovietici la deportazione di massa di oppositori politici e minoranze etniche non avrà avuto come scopo il genocidio, ma non per buon cuore, quanto perché la deportazione era in sé una strategia. Oltre a fornire manodopera a costo zero per la creazione di infrastrutture colossali (come la Transiberiana), la deportazione di migliaia di persone serviva a russificare alcune zone fortemente strategiche. In questo modo il Cremlino raggiungeva il duplice scopo di allontanare dissidenti politici dai centri del potere e predisporre le basi per futuri interventi militari, ufficialmente in difesa di minoranze russe. In Crimea e Donbass è successo esattamente questo. I russi hanno giustificato l’invasione militare di queste regioni col pretesto di difendere delle minoranze russe dalle minacce nazionaliste locali. Il “non detto” è che queste minoranze sono state mandate lì apposta, in tempi non sospetti. Ma se anche fossero state lì da sempre, è chiaro a tutti che in Russia ci sarebbe stato tanto posto per accoglierle, senza dover invadere militarmente territori altrui…


Lungo il confine della Federazione Russa ci sono diverse regioni con queste caratteristiche. Molti di questi territori si definiscono indipendenti ma non sono riconosciuti dalla comunità internazionale, e sono di fatto protettorati della Russia, da cui dipendono dal punto di vista economico, militare e politico. In Georgia ce ne sono ben due: l'Ossezia del Sud e l'Abcasia.


In Ossezia del Sud la Georgia ha combattuto due guerre: una negli anni Novanta, subito dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, e una nel 2008, quando la Russia ha invaso il paese con il pretesto di difendere i separatisti osseti.

In Abcasia è stata combattuta la Seconda guerra russo-georgiana (la prima era quella in Ossezia del Sud). L’Abcasia è riuscita a riprendersi più in fretta dalle conseguenze della guerra rispetto all’Ossezia, perché dispone di maggiori risorse economiche: affaccia sul Mar Nero ed è autonoma dal punto di vista energetico. L’Abcasia è anche più popolata: ci vivono oltre 200 mila persone. Nel 2008 la Russia ha riconosciuto l’indipendenza dell’Abcasia. Sia in Ossezia del Sud che in Abcasia la Russia mantiene delle forze militari, ufficialmente per operazioni di peacekeeping.

Lo scorso 15 novembre a Sukhumi, la capitale dell’Abcasia, centinaia di persone hanno fatto irruzione nel complesso in cui si trova il parlamento locale, sfondando il cancello con un camion, protestando contro un accordo che facilita gli investimenti della Russia nel settore immobiliare locale. C’è da dire che l’ingerenza russa in campo immobiliare è già molto forte: a seguito delle sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, infatti, molti russi facoltosi hanno acquistato ville prestigiose in Abcasia. La costa del Mar Nero è una meta turistica molto apprezzata e ora particolarmente esclusiva. Questo ha comportato un notevole aumento dei prezzi delle abitazioni per le persone locali. Martedì 19 novembre il presidente della regione georgiana dell’Abcasia si è dimesso. La decisione è stata presa dopo giorni di grosse proteste.

I georgiani continuano a protestare senza sosta ormai da diverse settimane. La protesta è diventata virale sui social, perché portata avanti da moltissimi giovani che avevano creduto e sognato di poter entrare nell’Unione Europea. Molti di loro hanno studiato, hanno una cultura europea e democratica, e ora si sentono comprensibilmente traditi dal dietrofront del governo. Sanno che il loro titolo di studio non è automaticamente riconosciuto all’estero e non vogliono emigrare. Del resto, perché dovrebbero farlo? La Georgia è un paese ricco di risorse e possibilità per le quali vale la pena combattere.

Mi dispiace che il “sogno europeo” dei georgiani non sia molto raccontato, sui media italiani. Con questo articolo ho cercato di dare un piccolo contributo alla loro causa. Oltre a questo, penso che in un momento particolarmente difficile per l’Europa, in visibile stagnazione economica e a corto di ideali, vedere la caparbietà con cui i georgiani lottano per farvi parte mi emoziona. Non lasciamoli soli.

Per approfondire:


Podcast (singole puntate):
- La putinizzazione della Georgia, di Eugenio Cau, in Globo, Il Post.
L'Europa non si sveglierà, di Eugenio Cau, in Globo, Il Post.

Video YouTube:
- Georgia, l'altra Ucraina (e intanto in Moldova...), di Limes, rivista italiana di geopolitica.

Libri:
La frontiera: Viaggio intorno alla Russia, di Erika Fatland, Marsilio, 2020
Buonanotte, signor Lenin, di Tiziano Terzani, Longanesi, 1992

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