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NUOVE ROTTE PER LA "GLOBAL SUMUD FLOTILLA"

 

«La Flotilla aveva due obiettivi, come abbiamo visto: uno più concreto (consegnare gli aiuti alla popolazione palestinese) e uno politico (fare pressioni sui governi affinché si attivino per la causa palestinese). Il primo è quasi impossibile, ma col secondo, come siamo messi?»                                                                                                               


Fine agosto 2025: quasi 40mila persone si ritrovano a Genova per partecipare a una fiaccolata. Vogliono salutare la partenza della Global Sumud Flotilla, prevista per il giorno successivo. 
In vista della partenza, in città sono state raccolte nientemeno che 300 tonnellate di cibo e di altri prodotti di prima necessità. Quella della Flotilla è una grande iniziativa indipendente e internazionale (sono coinvolti attivisti da 44 paesi del mondo), nata allo scopo di forzare il blocco navale imposto da Israele e consegnare gli aiuti alla popolazione civile della Striscia di Gaza.

Quello della Global Sumud Flotilla non è il primo tentativo di consegnare aiuti umanitari via mare con imbarcazioni di piccole dimensioni. È un pezzo di una storia più ampia che nasce nel 2010 con il nome di Freedom Flotilla. Dal 2010 a oggi ci sono stati vari tentativi di forzare il blocco navale a Gaza, tre dei quali successivi all'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ma nessuno di questi è mai andato a buon fine.

La novità, questa volta, consiste nell’aver messo insieme un numero molto più alto di imbarcazioni, nella speranza che almeno alcune di queste riescano a sfuggire al controllo israeliano e a giungere a destinazione senza essere intercettate dalla marina israeliana. Poi su questo punto torneremo.

La prima missione compiuta dalla Freedom Flotilla, nel 2010, ebbe un esito tragico: tra le imbarcazioni che vi facevano parte ce n’era una battente bandiera turca, la Mavi Marmara, che fu abbordata dalla marina israeliana quando ancora si trovava in acque internazionali. Nove membri dell’equipaggio vennero uccisi. Il caso della Mavi Marmara creò enorme scandalo e danneggiò gravemente le relazioni diplomatiche tra Turchia e Israele.

Gli attivisti della Global Sumud Flotilla sono consapevoli che raggiungere Gaza sarà praticamente impossibile, ma oltre a questo obiettivo “primario” ne perseguono un altro, non meno importante, e cioè accendere un enorme riflettore sulle condizioni disastrose in cui versa la popolazione civile della Striscia di Gaza, da cui sono state estromesse tutte le ONG, dove le persone vengono affamate e sulle quali l’esercito spara durante la distribuzione di cibo.

Gli accordi raggiunti nel 1995 tra il governo israeliano e l’Autorità Nazionale Palestinese consentivano ai pescherecci di Gaza di pescare nel raggio di 6 miglia nautiche (circa 11 chilometri), mentre dal 7 ottobre 2023, con lo scoppio della guerra, la navigazione è vietata del tutto. Una delle poche fonti di cibo rimaste è stata quindi neutralizzata.

L’obiettivo simbolico e politico della Flotilla è di coinvolgere il più possibile l’opinione pubblica, far sì che questa si attivi e spinga il governo ad attivarsi per convincere Israele ad allentare il blocco degli aiuti.

Il 22 settembre in tutta Italia si sono svolte delle manifestazioni molto trasversali e partecipate. Secondo fonti affidabili la stragrande maggioranza della popolazione italiana si dice vicina alla causa palestinese, mentre solo il 7% si schiera dalla parte di Israele.

Quello di Israele è un governo di estrema destra e si trova attualmente piuttosto isolato a livello internazionale. Può contare su un solo vero alleato, gli Stati Uniti. “Pochi ma buoni”, dicono: l’esercito degli Stati Uniti è il più forte del mondo, e lo stesso Israele sta dimostrando una forza a dir poco devastante. I nemici di Israele sono tanti, ma sono tutti piuttosto tiepidi nelle loro reazioni. L’Unione Europea è incapace di approvare qualsivoglia sanzione (la Presidente della Commissione è tedesca, e si sa quanto pesi il senso di colpa tedesco nei confronti della nazione ebraica), ma anche i paesi arabi, che negli scorsi decenni non hanno esitato a difendere i loro fratelli palestinesi, ora non si azzardano a mettersi contro un esercito dalla potenza così stupefacente (e così palesemente fuori controllo).

Dal momento della partenza la Global Sumud Flotilla è stata attaccata per tre volte, con aggressività sempre crescente, al punto che questo ha iniziato a preoccupare non poco il governo italiano. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a margine di una riunione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lo scorso 23 settembre 2025 ha dichiarato:

Intanto chiaramente la mia condanna di quello che è accaduto stanotte è totale […]. Dopodiché però io voglio ribadire quello che penso di questa vicenda, perché tutto questo è gratuito, pericoloso e irresponsabile. Non c’è bisogno di rischiare la propria incolumità, non c’è bisogno di infilarsi in un teatro di guerra per consegnare degli aiuti a Gaza, che il governo italiano e le autorità preposte avrebbero potuto consegnare in poche ore.

Meloni allude a una delicata trattativa in corso tra il Governo Italiano, la Conferenza Episcopale Italiana e il Patriarcato di Gerusalemme, guidato dal Cardinale Pizzaballa, che molti avranno conosciuto durante i giorni del Conclave perché il suo nome compariva tra quelli, letteralmente, “papabili”. L’idea è quella di consegnare gli aiuti a Cipro e di farli successivamente transitare verso Gaza attraverso un canale umanitario aperto dalla Santa Sede.

Il 24 settembre Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha annunciato l’invio di una nave della Marina Militare per fornire eventuale soccorso, assistenza e protezione alla Flotilla. In sostanza, per garantire l’incolumità dei membri dell’equipaggio, tra cui ci sono anche parlamentari ed europarlamentari italiani, senza però forzare il blocco navale israeliano.

Il 26 di settembre, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha invitato la Flotilla a evitare di porre a rischio l’incolumità delle persone: ha di fatto chiesto agli attivisti di fermarsi e di accettare la collaborazione proposta dal Governo Italiano e dal Vaticano. La richiesta di Mattarella è stata però rifiutata perché, come dice la portavoce italiana Maria Elena Delia, “cambiare rotta significa ammettere che si lascia operare un governo in modo illegale senza poter fare nulla”.

A questo punto finisce lo spazio relativo ai fatti e inizia quello delle opinioni.

Una giornalista che stimo, Imen Jane, ha scritto:

Delusione immensa per l’appello di Mattarella alla Flotilla di fermarsi. La Flotilla è la denuncia di un sistema criminale. Tentare di ridurla a un banale problema logistico è un insulto. Siamo oltre ai limiti del paradosso: rivolgere un appello agli attivisti, anziché al governo che attacca navi civili in acque internazionali e mantiene un blocco illegale e criminale. È un rovesciamento delle responsabilità inaccettabile: si chiede sottomissione invece di denunciare chi viola il diritto internazionale e tiene in ostaggio un intero popolo sottoposto a una punizione collettiva genocida, sotto gli occhi complici e ignavi della comunità internazionale. Avanti Sumud! Resistete ❤️

Io invece, pur avendo apprezzato tantissimo l'iniziativa di questi attivisti e augurando loro tutto il bene possibile, penso che il richiamo alla responsabilità del Presidente Mattarella andrebbe ascoltato, almeno da parte degli italiani a bordo. La Flotilla aveva due obiettivi, come abbiamo visto: uno più concreto (consegnare gli aiuti alla popolazione palestinese) e uno politico (fare pressioni sui governi affinché si attivino per la causa palestinese). Il primo è quasi impossibile, ma col secondo, come siamo messi?

Il 23 settembre, cioè il giorno dopo di quello in cui si sono svolte le manifestazioni, Meloni ha annunciato che la maggioranza di destra “presenterà una mozione parlamentare in favore del riconoscimento dello stato della Palestina”, a due condizioni: il rilascio degli ostaggi e l’esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo della Palestina.

Letteralmente fino al giorno di prima, la linea del governo era diversa, in quanto equiparava il riconoscimento della Palestina a un regalo nei confronti di Hamas, e subordinava il riconoscimento dello stato palestinese nientemeno che alla sua costituzione, con la riunificazione di Gaza e Cisgiordania Qui il link alla dichiarazione ufficiale sul sito della Farnesina, datata 22 settembre, segno che anche il ministro degli Esteri Tajani sembra essere stato colto alla sprovvista dalle dichiarazioni di Meloni. 
Alla luce di questo, non si può negare che nel giro di due giorni siano stati fatti passi da gigante.
 
A questo punto, visto che di politica si tratta, urge fare un passo indietro. La politica non è materia da “anime belle”. È quello che ci rinfacciano i paesi del mondo: voi europei potete concedervi il lusso di essere idealisti, perché per secoli vi siete arricchiti sfruttando e manipolando i governi dei paesi più poveri. Adesso, dopo 70 anni di pace, vi state cullando nel dolce oblio delle porcherie che avete combinato, ma noi no, noi non possiamo permetterci di dimenticarle, perché ne paghiamo tuttora le conseguenze. Riconoscere che in queste accuse c’è un fondo di verità significa distruggere il mito autocelebrativo per cui il mondo occidentale è fondato su rivoluzioni scientifiche, sull'etica e su una sorta di Illuminismo intrinseco. Concordo sul fatto che sarebbe più bello abbracciare visioni utopiche e scenari di pace, ma il mondo è un posto brutto, anche e soprattutto per colpa nostra e non è più possibile negarlo. Il Sionismo è diventato realtà perché in Europa abbiamo fatto una cosa chiamata "Olocausto" e non abbiamo nemmeno avuto la decenza di costruire, in Europa, un posto sicuro per gli ebrei. Anzi, abbiamo tirato un bel sospiro di sollievo quando gli ebrei hanno deciso di fondare Israele, così non siamo stati costretti a incrociare lo sguardo dei sopravvissuti per strada.

Di appelli al governo di Netanyahu ne sono stati fatti, e tanti. 
Come scrive Cecilia sala nel suo ultimo libro, I figli dell'odio:

L'Israele di oggi è imprevedibile, è un paese che ha scelto di non preoccuparsi dell'opinione pubblica mondiale, calcolando che - questo pensa lo stato ebraico - sarà in grado di sostenere da solo le conseguenze delle sue azioni.

Quando la portavoce italiana della Flotilla dice che “cambiare rotta significa ammettere che si lascia operare un governo in modo illegale senza poter fare nulla”, mi verrebbe da risponderle che sì, purtroppo nel mondo esistono molti governi che operano in modo illegale senza poter fare nulla. Non lo sapevi?

Un altro motivo per il quale il mondo è un posto brutto è che la politica ha smesso di essere collaborazione e sta diventando una gara tra fazioni e la sagra dell’incomunicabilità.

Gli attivisti hanno ragione a dire che il governo italiano non può ignorare che il 90% della popolazione si senta solidale al popolo palestinese e che Meloni deve essere la Presidente di tutti, non solo di quelli che l’hanno votata. E infatti, come abbiamo visto, nel giro di due giorni c’è stato un repentino cambio di passo. 

Qualcuno malignerà che ciò è dovuto al fatto che, vedendo manifestazioni tanto partecipate, Meloni abbia fiutato un importante bacino elettorale. Mi dispiace deludervi, ma la politica funziona esattamente così e vi dirò di più: questa si chiama democrazia. Intercettare il più ampio bacino elettorale possibile e cercare di accattivarselo.

A mio parere sarebbe stata una mossa geniale, da parte della Flotilla, inchiodare Meloni alla sua dichiarazione sul fatto che "il governo italiano sarebbe stato capace di consegnare gli aiuti nel giro di poche ore". 
Nel mondo del marketing la chiamano strategia win-win: se Meloni ci riesce siamo contenti tutti, palestinesi in primis. E d'altro canto il fatto che Meloni debba rappresentare tutti, cioè anche chi non l'ha votata, vale anche per l'opposizione: non si può mettere a rischio la riuscita dell'operazione solo per non concedere a Meloni di intestarsene il successo.

Se non ci riesce allora le si potrà dire: “lo vedi che sbagliavi a definirci dei Gretini?” (cito l'orripilante crasi tra il nome di Thunberg e “cretino” che campeggia più o meno quotidianamente sui giornali di destra). Chiedere di tenere una postura più istituzionale ed evitare di fare delle sparate così colossali è chiedere troppo?

C'è anche da dire che Meloni qualche discorso istituzionale e obiettivo ogni tanto lo fa. Succede spesso che la sinistra lasci a Meloni l'onore di interpretare la parte dell’unico adulto nella stanza.
Ad esempio non è così campata in aria la domanda che pone alle opposizioni: se Israele dovesse bombardare le barche della flottiglia (cosa che ha già fatto, come abbiamo visto) cosa vi aspettate che faccia lo Stato Italiano? Che dichiari guerra a Israele? Vi rendete conto di quello che state dicendo?

E poi, le persone a bordo, armate solo di idealismo e di smartphone per documentare la missione, sono consapevoli del fatto che ci potrebbe scappare il morto? E che, come ci ha tragicamente dimostrato Charlie Kirk, il “rischio calcolato" potrebbero essere loro?  

Un’ultima parola sulla strategia generale della Flotilla: l'idea di raggiungere la Striscia di Gaza con imbarcazioni di piccole dimensioni per evitare di essere intercettati dalla marina israeliana è buona, a patto però di riuscire a tenere la missione segreta. Adottare questa strategia, e contemporaneamente strombazzare la propria presenza sui social a tutto alé è un controsenso. E tuttavia viviamo nel mondo dell’attivismo social (o performativo), la forma di attivismo più ingenua e farlocca che esista. Lo dice chiaramente Francesco Costa in questa puntata del suo podcast, Wilson: fare politica sui social a colpi di hashtag e stories su Instagram non sta funzionando e non funzionerà (e questo non fa che alimentare il nostro senso di impotenza). 

Alla luce di questo, chiuderei con una domanda provocatoria: cosa spinge gli attivisti a impuntarsi e a voler andare avanti a tutti i costi? L'idealismo? L'ingenuità? O il male del nostro secolo, cioè la vanità?

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