«Lo capiscono che i "costi" che Elon Musk vuole tagliare sono i servizi di welfare? Istruzione, sanità, tutela dei parchi nazionali?»
Lo ammetto: la cerimonia di elezione di Donald Trump, con gli uomini più ricchi del mondo docilmente accomodati in prima fila per baciare la mano, mi ha turbata non poco. Non è tanto l'idea che siano dei maschi bianchi ricchissimi a governare il mondo: lo si è detto tante volte, non è una novità. Quello che trovo deprimente è che milioni di poveracci frustrati e arrabbiati abbiano pensato che un gruppetto di milionari stronzi (passatemi il termine) potesse davvero stare dalla loro parte. Che li difendesse dai “poteri forti” (esiste un potere più forte di quello di Musk?).
E infine, che gli elettori non abbiano capito una parola di un programma politico chiaramente contro gli interessi della classe media: non è stato fatto nemmeno un tentativo per “indorare la pillola". Non è servito, tanto la gente non capisce. Non capisce che i dazi aumenteranno l'inflazione, e che saranno gli americani stessi a pagarli. Lo capiscono che i "costi" che Elon Musk vuole tagliare sono i servizi di welfare? Istruzione, sanità, tutela dei parchi nazionali?
L’idea alla base (pienamente condivisa da Javier Milei e da molti altri) è che le disuguaglianze sociali siano “naturali”, che il governo non debba cercare di ridurle e che la giustizia sociale sia un "concetto aberrante" e un "furto". In Italia non va molto meglio: ci sono milioni di persone convinte che la patrimoniale intaccherebbe i loro miseri risparmi e che la flat tax sia “equa”.
E infatti la Lega di Salvini è il partito più trumpiano di tutti.
tassazione piatta e progressiva for dummies
L’aggressività revanscista incarnata da Trump fa presa sulla fascia della popolazione che si sente esclusa e frustrata; disillusa, da un lato, dalla capacità della politica di fornire soluzioni, dall’altro (spiace dirlo) incapace di capirne le ragioni e le proposte. In questa situazione, incanalare la rabbia e farla sfogare su nemici immaginari è una strategia politica dal potenziale enorme (hai detto no vax?).
Michele Serra ha ragionato sulla potenza comunicativa dell'espressione “radical chic”, appellativo che ha tolto credibilità a qualsiasi persona benestante che osi parlare di redistribuzione della ricchezza e ha fornito un'aura di autenticità quasi “nobilitante” ai cafoni arricchiti come Daniela Santanchè. Scrive Michele Serra:
Bisognerebbe indire un concorso, anzi lo voglio proprio indire, per trovare l’equivalente speculare del termine radical chic, così da immortalare il sottoccupato americano, o la derelitta che vive in un camper arrugginito, che vota Trump, evasore fiscale, e inneggia a Elon Musk, licenziatore seriale, mentre i due spendono in un’ora quello che molti loro elettori guadagnano in una vita, e festeggiano la loro smisurata fortuna nell’orribile villone di Mar-a-Lago.
Ho avuto l’impressione, guardando l’inaugurazione di Trump, di essere di fronte a uno di quei momenti “cruciali” della storia, in cui giungono a compimento dei processi sotterranei durati decenni. La crisi finanziaria del 2008 aveva decretato il primato della finanza sulla politica, con i “mercati” a influenzare la politica di stati teoricamente sovrani. È interessante, peraltro, l’attribuzione di azioni e volontà propria a soggetti inanimati (i mercati hanno stabilito che…, l’azienda ha deciso che.. l’Europa ci chiede di...) spostando di conseguenza le responsabilità su entità “neutre” e infine trasformando scelte personalissime in situazioni ineluttabili.
Oltre a essere l’anno in cui questi fantomatici “mercati” hanno fatto un bel casino, il 2008 è stato anche l’anno in cui c’è stato l’ultimo vero tentativo collettivo di reagire alla “fase 2” del capitalismo, quella in cui le promesse di libertà e democrazia stavano progressivamente scivolando verso una china materialista e verso l’aumento delle diseguaglianze. Dell’importanza del 2008 e del G8 di Genova avevo già scritto che:
Ho il sospetto che quella vicenda sia stata uno spartiacque culturale e politico, di cui né la mia generazione né quelle precedenti abbiano piena consapevolezza. Mi sembra che da quel momento in Italia si sia continuato a ragionare sulla sinistra, sulle manifestazioni giovanili (ma anche sull’opportunità stessa di manifestare) con il filtro del G8 di Genova.
(Perdonate l’autoreferenzialità, tanto quell’articolo non se l’era filato nessuno).
Con l’insediamento di Trump siamo di fronte al passo successivo: alla fine della coincidenza tra democrazia e giustizia sociale. Il popolo ha consegnato di sua sponte il potere all’oligarchia. Lo stile di governo di Trump e Musk si fonda su una politica di divisione e intolleranza, progettata per consolidare il potere e arricchire un’oligarchia di capitalisti a spese di tutti gli altri.
Italo Calvino, in Se una notte d’inverno un viaggiatore, si è chiesto: “come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già da prima”.
Ma allora, perché si è arrivati a questo punto? Quando è cominciato questo processo? Ho trovato delle risposte molto convincenti nel saggio Occidenti e Modernità, scritto da un importante storico italiano: Andrea Graziosi.
La democrazia liberale come la intendiamo oggi, osserva Graziosi, si basa sull’elezione di rappresentanti per concordare condizioni migliorative per la popolazione, nel rispetto di pesi e contrappesi tra i vari poteri dello Stato. Questo concetto, nato sostanzialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha raggiunto il suo apice tra anni Cinquanta e Settanta, quando grazie al boom economico e alla crescita demografica, ogni governo poteva disporre di risorse maggiori rispetto a quello precedente: cresceva il PIL, aumentava la platea dei contribuenti e di conseguenza anche le risorse da redistribuire. Ne abbiamo parlato recentemente nell’articolo Tu chiamale, se vuoi... generazioni.
La prima crisi petrolifera (1973) dà un primo duro colpo all’illusione del “miglioramento continuo”. A partire dagli anni Ottanta, con la crisi dei grandi gruppi industriali, i governi continuano a spendere e spandere come nei decenni precedenti, ma a debito. In un ventennio il debito pubblico diventa esorbitante.
In una situazione come quella attuale, con economia stagnante e demografia in calo, la classe dirigente non ha risorse sufficienti a contrattare nuovi “diritti economici”, cioè quelle concessioni che implicano un esborso da parte dello stato. Concretamente, nemmeno i partiti di sinistra oggi possono “permettersi” di promettere l’abbassamento dell’età pensionabile, finanziamenti all'istruzione e una sanità pubblica più efficiente, perché queste misure “costano” e le casse dello stato non lo consentono.
Cosa può fare, allora, la politica? Rosicchiare qui e lì qualche diritto economico, ma in modo rigorosamente non strutturale: ad esempio, facendo il gioco delle tre carte con i bonus (bonus facciate, bonus mamme, bonus mobilità, bonus psicologo, bonus vacanze…). Oppure, con ammortizzatori sociali precari e non ben definiti (Reddito di Inclusione che diventa Reddito di Cittadinanza, che viene cancellato ma poi in parte sostituito con l’Assegno di Inclusione). Insomma, ci siamo capiti.
Quello che invece la politica può fare senza problemi è parlare di diritti politici, che hanno l’incredibile vantaggio di essere a costo zero. È in questa direzione che si sono mossi con grande enfasi soprattutto i partiti progressisti, nel tentativo di offrire una sorta di compensazione al proprio elettorato. Ecco perché, ad esempio, le battaglie LGBTQ+ sono diventate una parte fondamentale del loro programma politico. Ovviamente nella ricostruzione di Graziosi non c'è un giudizio di merito, ma solo la descrizione di un fenomeno.
Il problema è che i diritti economici sono stati la base della teoria politica per tanti anni, e sono stati presentati (in modo fin troppo altisonante) come “diritti dell'uomo".
Finché l’economia è stata in crescita, il gioco ha funzionato. Con la crisi economica questi diritti hanno smesso di essere “diritti umani” e sono tornati a essere quel che sono: diritti legati allo status economico. Prendiamo ad esempio, appunto, la sanità: da un lato è gratuita solo per i poveri, dall’altro, per i “meno poveri” si sta tornando alla cassa mutua: il livello di sanità garantita dipende dal contratto di lavoro. Le aziende che forniscono il servizio, sottraendo personale già scarso al settore pubblico, lavorano in esenzione.
Finché l’economia è stata in crescita, il gioco ha funzionato. Con la crisi economica questi diritti hanno smesso di essere “diritti umani” e sono tornati a essere quel che sono: diritti legati allo status economico. Prendiamo ad esempio, appunto, la sanità: da un lato è gratuita solo per i poveri, dall’altro, per i “meno poveri” si sta tornando alla cassa mutua: il livello di sanità garantita dipende dal contratto di lavoro. Le aziende che forniscono il servizio, sottraendo personale già scarso al settore pubblico, lavorano in esenzione.
Questo porta inevitabilmente a una crisi della politica, che deve sconfessare se stessa. E, soprattutto, alla presa di coscienza che i diritti politici, in mancanza di diritti economici, sono ipocriti: pensiamo al ruolo che ha avuto la retorica anti woke alle ultime elezioni.
Se non migliori il mio tenore di vita, cosa me ne frega dei diritti LGBTQ+? Se sono malato e non mi curi, perché dovrei votarti? A cosa serve il diritto di voto? A questo punto, è meglio Trump!
La crisi coinvolge, paradossalmente, proprio la parte politica che più aveva promesso sostegno economico ai più deboli. A destra non hanno mai promesso di aiutare i poveri, ma di aiutare i ricchi… e lo stanno facendo, come dimostra la corte di miliardari che si è prontamente messa in fila per baciare l’anello a Donald Trump.
Per approfondire
Libri:
Occidenti e modernità. Vedere un mondo nuovo. Di Andrea Graziosi, il Mulino, 2023.
Podcast (singola puntata):
Il bivio dell'occidente, con Andrea Graziosi, in Globo, Il Post.

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